giovedì, dicembre 28, 2006

Fino all'ultima illusione

Tre sono le fasi della magia. Il prologo, in cui una situazione viene presentata nella sua apparente normalità; il rovesciamento, in cui all’improvviso la meraviglia si manifesta sotto forma di colpo di scena (la colomba sparisce, il coniglio appare dal cilindro, la donna viene tagliata in due). Infine, il prestigio, il momento in cui quello che si pensava sparito o danneggiato irrimediabilmente viene fatto riapparire. Il gioco di prestigio, quindi, si basa sulla capacità di ingannare i sensi. È un effetto ottico che diventa più potente nel momento stesso in cui viene mostrata la sua natura di illusione. In realtà, è l’unica situazione in cui il pubblico si aspetta di non veder succedere niente. Più grande è lo scarto tra quello che sembra accadere e quello che realmente (non) accade, più lo spettacolo sarà riuscito. L’importante, però, è non svelare fino in fondo il segreto della magia. Un illusionista che cede il suo segreto a un altro, è finito. Chris Nolan ama i film complicati in cui la linearità della storia si frantuma in una serie di piccoli fiumi di racconto che contengono al loro interno la chiave per rimetterli assieme. Memento, ad esempio, era costruito come un continuo slittamento di sequenze di ricordi che il protagonista – affetto da una forma di amnesia - doveva ricomporre. Il nuovo The Prestige, tra flashback e colpi di scena, racconta lo scontro senza esclusione di colpi tra due maghi rivali nella Londra di fine ottocento. Tutto ruota attorno al rapporto tra realtà e illusione: è possibile che ci siano due esseri umani uguali? Due cose identiche sono la stessa cosa? In un’epoca di effetti numerici e di blockbuster tecnologici, il regista assomiglia di più a uno scienziato o a un mago? The Prestige ci mette la soluzione sotto il naso facendoci guardare dall’altra parte. Di fronte all’evento più bizzarro, se togliamo l’impossibile, rimane il reale, per quanto improbabile possa essere (lo diceva Holmes, se non sbaglio). Non svelo i colpi di scena finali, ma segnalo le ottime prove di Christian Bale e Hugh Jackman, affiancati dal solito grande Michael Caine e da David Bowie nei panni mefistofelici dello scienziato elettrico Nikola Tesla.

giovedì, dicembre 14, 2006

Le tessere del domino

Paola Maugeri non c'è più. O meglio, c'è ma è come se non ci fosse. La sua resistibile ascesa nei palinsesti di MTV l'ha portata in breve tempo a passare dai pomeriggi giovanilistici di Select alle prime serate monografiche di A night with, per poi passare alla seconda serata con Brand new, una trasmissione che sembrava fatta su misura per lei. Tanta musica, tante chiacchiere e un sacco di ospiti stranieri per mostrare quanto è brava con l'inglese. Non so cosa sia successo, se qualcosa è successo, fatto sta che la povera Paola non si è fermata neanche sta volta ed ha ricominciato il suo peregrinare nel palinsesto televisivo verso un destino che probabilmente la porterà a condurre, tra qualche anno, Unomattina o qualche lezione universitaria del progetto Nettuno. Paola se ne è andata da MTV per approdare a la7 dove conduce 25a ora - Il Cinema Espanso, un programma che parla di cinema mostrando, quando possibile, corti e documentari italiani.
Il titolo omaggia un film di Spike Lee ma richiama anche che l'orario da nottambuli in cui il programma va in onda, un orario assurdo come da tradizione per gli spazi dedicati al cinema nella televisione italiana. Dicevo che non so cosa sia successo nei corridoi paralleli dei canali tronchettiani, quale sia stata la prima tessera del domino a cadere, fatto sta che la venuta a 25a ora della Maugeri, che di cinema ne sa come mia nonna alle prese con l'installazione di una scheda di rete su un sistema linux, ha comportato la partenza del precedente conduttore, l'ottimo critico Steve Della Casa. Il colmabile vuoto creatosi a Brand New è stato riempito da una faccia televisivamente nuova, il tatuato regista Alex Infascelli, regista cinematografico e di video musicali, che presenta con finta svogliatezza come da tradizione del programma. Ora mi chiedo, ma non era meglio lasciare la Maugeri, in teoria esperta di musica, a Brand New e mettere Infascelli a 25a ora? E ancora. Con chi devo prendermela per aver dovuto assistere all'intervista di Luca Sofri che, sdraiatosi sul divano di pelle di Brand New, promuoveva la sua ultima faticaccia letteraria, una scopiazzatura malriuscita di Nick Hornby? Il principe ranocchio, folgorato sulla via del rock dall'iPod, si è lanciato poi in una dimenticabile generalizzazione degna di Guglielmo Giannini affermando che esiste la categoria precisa degli ipodders consistente in "trentenni, urbani, curiosi del mondo". Dopo una stronzata del genere con chi me la devo prendere? Con Infascelli? Con Steve Della Casa? Con Tronchetti Provera? Con la Maugeri certamente. E' lei la prima tessera del domino. Una di quelle senza numeri.

I Prescelti

Due film visti di recente al cinema: Il prescelto, remake di Wicker man, cult inglese di cui ho parlato qualche tempo fa, e Marie Antoinette, di Sofia Coppola, storia della regina di Francia arrivata dall’Austria giusto in tempo per farsi ghigliottinare. In realtà tutti e due i film parlano di “prescelti”. Il primo è un poliziotto con l’aria sfigatissima (Nicolas Cage) che arriva su un’isola in cui viene praticato uno strampalato e improbabile culto femminile delle api (!!!) per ritrovare una bambina misteriosamente scomparsa (oppure no). La seconda è una ragazzina che entra in un ambiente troppo grande per lei, vale a dire la reggia di Versailles, e deve imparare a vivere in mezzo ai rituali di un’etichetta assurda. Il Prescelto è un clone senza originalità, che ricalca l’originale introducendo qualche variazione inutile, tipo il prologo che dovrebbe essere simbolo non si capisce di cosa, e sostituendo il paganesimo simil celtico con rituali dementi e con un’idea (le api) che fa ridere. La suspense è pilotata in modo meccanico e le uniche scene che valgono sono quelle in cui il buon Cage, aria ebete e bocca sempre aperta, rifila qualche colpo di kung fu alle odiosissime donne api. Un film in cui la scena clou è quella in cui al protagonista viene uno shock anafilattico non è esattamente un capolavoro. Comunque 5 per la simpatia. Anche se la domanda sorge spontanea: perché a Hollywwod buttano milioni di dollari per film che trent’anni fa sarebbero stati al massimo buoni prodotti di serie b? Che i soldi facciano male al cinema?

Marie Antoinette può contare su una scenografia suggestiva (è stato girato nella vera reggia) e su una descrizione abbastanza accurata dei rituali e dell’ambiente. Kirsten Dunst è strepitosa e la colonna sonora new wave irresistibile. Purtroppo però la Coppola è una regista dozzinale ed è incapace di dare un ritmo al film e di sfruttare le doti della protagonista. Citazione per l’aria porca della Dunst nel manifesto del film: uno sguardo da porno svedese anni settanta. Dovendo dare un voto complessivo direi 6.

giovedì, dicembre 07, 2006

Regolare come el panetùn, arriva il natale...

Il clima natalizio impazza già da settembre in tv e adesso anche noi stiamo per finire affogati in un mare di panettoni, pandori e torroni. Mi chiedo, con l'inutilità che contraddistingue le mie domande retoriche, come può essere un natale al di fuori dei sacri confini, senza questi tesori nazionali? Senza l'uvetta, i canditi, lo zucchero a velo, l'appiccicume sulle mani, i cartoni della Bauli adattissimi a fare i caschi di Guerre Stellari, le cartoline del concorso Melegatti ecc. A pensare che a Londra, Parigi e New York non sanno cosa sia lo zampone provo immensa pena per loro e propongo una colletta per inviare derrate alimentari degne di un italico cenone.
Stranamente anche quest'anno natale porterà con sè diversi giorni di vacanza. Queste due settimane sono il periodo prediletto per gustarsi cioccolate amarissime e leggere qualche bel libro obbligatoriamente sdraitati. Visto il periodo, consiglio la lettura del Canto di Natale di Dickens. Evitate l'edizione Mondadori, tradotta a salti da Enrico Grazzi, e fatevi invece due risate leggendo l'edizione tradotta da Federigo Verdinois nel 1888 che potete trovare gratuitamente su LiberLiber. Basta stamparla.
Cambiando totalmente genere ed atmosfera, un altro libro che merita una letta è Il più grande uomo scimmia del Pleistocene di Roy Lewis che da vero inglese qual'era, scriveva libri pieni di humor, inglese naturalmente.
Per finire consiglio non uno bensì quattro libri di uno stesso autore: La guida galattica per autostoppisti, Il ristorante al termine dell'Universo, La vita, l'Universo e tutto quanto, Addio e grazie per tutto il pesce di quel gran genio che era Douglas Adams, inglese pure lui. Chi non lo conosce si fidi e legga tutto. Mi raccomando. Che tanto le vacanze sono lunghe e tra una fetta di pandoro ed un bicchiere di spumante di solito l'unica cosa che si riesce a fare bene a natale è ingrassare ed annoiarsi. Evitiamo almeno la seconda.

sabato, dicembre 02, 2006

Il labirinto del fauno

Spagna, 1944. Una Rolls Royce nera si infila su per una stradina di montagna, scortata da altre macchine che recano sulla porta delle minacciose insegne militari. A bordo della Rolls ci sono Mercedes, vedova da poco risposata con un ufficiale franchista, e Ofelia, sua figlia. Mercedes è incinta, Ofelia sta per incontrare per la prima volta il suo patrigno, che per lei sarà sempre e solo Il Capitano. Il capitano è un fanatico ossessionato dalla lotta contro la resistenza. Vive nel ricordo mitizzato di un padre eroe. È crudele e spietato. Quando c’è da torturare un prigioniero o da dare il colpo di grazia a un nemico ferito, ama occuparsi personalmente della faccenda. Per Ofelia l’unica via d’uscita da una realtà fatta di sangue e violenza è la fantasia. Quella dei suoi libri di fate. Quella che sembra sorgere all’improvviso davanti ai suoi occhi sotto forma di uno strano labirinto in mezzo al bosco. Seguendo il richiamo di bizzarri insetti-fata Ofelia scopre che al centro del labirinto, tra monoliti ricoperti di misteriose rune, vive un inquietante fauno. E che forse lei stessa è una principessa in esilio da un regno incantato. Il nuovo film di Guillermo Del Toro è sicuramente uno degli oggetti cinematografici più strani che potrete trovare in circolazione in questa fine anno. Il Labirinto del fauno corre lungo due binari paralleli: quello realistico, con la lotta fanatica del capitano contro la resistenza, tra battaglie e attentati in mezzo al bosco; quello fantastico, con il percorso iniziatico di Ofelia nel labirinto e con gli incontri di creature bizzarre e feroci (notevole il mostro senza occhi). In mezzo la visionarietà di Del Toro, che senza rinunciare ai suoi marchi di fabbrica (insetti come in Mimic, meccanismi a molla come in Cronos, intreccio Guerra civile/cinema horror come in La Spina del Diavolo, fascisti demoniaci come in Hellboy) crea il suo film più personale. Il tema è quello classico della fantasia come unica via di fuga di fronte all’orrore e alla tragedia della vita quotidiana. Solo che a differenza del cinema mainstream di questi anni, che sembra sempre più credere nel potere salvifico dell’immaginazione e della magia (pensiamo a Big Fish e a Neverland o a Narnia), Del Toro, da buon cattolico messicano, sembra dire che la fantasia è una via di fuga potentissima ma momentanea, e che la realtà, fatta di carne e sangue, sta sempre in agguato. Il corpulento Del Toro eccede un po’ in violenza e sangue, creando un film fuori genere: troppo fantastico e fatato per piacere ai fanatici dell’horror, troppo realistico e brutale per un pubblico che ama il fantasy, troppo scoppiato per piacere agli amanti del cinema realistico. Per questo si conferma uno dei nomi da seguire per chi ama i film visionari. Non un genio, ma un degno erede del grande cinema dei mostri universal degli anni ‘50. Con in più il tocco viscerale e morboso di un figlio del barocco messicano.