lunedì, ottobre 30, 2006

Il Grande Fratello in Vista?

Sarà che sento ancora gli influssi del Linux Day, sarà che alcuni aspetti delle politiche "commerciali" di Microsoft stanno incominciando a preoccuparmi, il fatto è che ho preso una radicale decisione. Ho deciso di trasmigrare, piano piano, verso il pinguino e più precisamente verso una distribuzione dal nome esotico Ubuntu. Come ai vecchi tempi leggerò il mio bel manualino e me lo installo, sforzandomi un po' rispetto a windows.
Le notizie che ogni giorno trapelano riguardo a Windows Vista prefigurano un sistema operativo famelico di risorse e capace di creare un gap notevole tra coloro che potranno permettersi delle macchine in grado di farlo girare e chi no. Bisognerebbe capire perchè uno che usa il computer per navigare, scrivere e far di conto abbia assoluto bisogno di un PC a 2GHz con almeno 1 giga di RAM. Di Vista ne ha bisogno l'utente medio? O piuttosto bisognerebbe dire che ne ha bisogno disperato il mercato dei computer, per obbligare tutti a quell'upgrade planetario che avviene ad ogni rilascio di una nuova versione del sistema operativo Microsoft? Secondo me un sistema operativo dovrebbe essere a servizio della macchina, non il contrario.
C'è poi un altro aspetto poco trattato dai media ma ben più grave e che a molti ha fatto venire alla mente 1984 di George Orwell. Probabilmente nel 2008 verrà implementata in Vista la nuova architettura software (NGSCB) in grado di interagire con l'hardware predisposto per il Trusted Computing. Se non sapete cos'è il trusted computing questo filmato ve lo spiega in maniera molto semplice.




Il richiamo al Grande Fratello (magari fosse quello di Canale 5) è una forzatura? Mettete insieme lo scenario descritto nel filmato con la diffusione di windows in aziende, enti pubblici, scuole, associazioni, ecc è avrete un bel fratellone che vi controlla sempre, vi dice come lavorare, come giocare, come studiare, come comunicare...

domenica, ottobre 29, 2006

Verrà un Linux Day in cui....

Ieri si è svolto il Linux Day anche a Portogruaro, organizzato dal 0421UG di San Donà e, incredibilmente, dal Comune. Le conferenze a cui ho assistito, tenute da tre ditte d'informatica della zona, e su questa scelta si potrebbe discutere ampiamente, più che su linux si sono incentrate sul discorso più generale di software libero e di open source e della sua applicabilità in ambito professionale. Nel complesso la cosa mi è piaciuta ma non posso esimermi da fare qualche critica. Un inciso: il maestro Perboni e la platy sanno bene quanto mi piace criticare anche le cose che mi piacciono, e questo mi porta a criticare anche il mio criticare, in un feedback paranoico infinito che finisce, il più delle volte, chiuso in un buio sottoscala. Tornando al linux day sono sicuro che le scelte organizzative siano state limitate dalla carenza di tempo e di spazio ma per una prossima edizione bisogna rendere più "appetibile" il prodotto.
Innanzi tutto bisogna decidere preima se lasciare Windows fuori dalla porta o no. Se l'iniziativa si chiama linux day non è un bel segno che tre presentazioni su tre siano fatte attraverso notebook con Windows XP come sistema operativo e con Powerpoint (ma di questo però non sono sicurissimo) per le slides invece che Impress di Open Office. Poi va assolutamente data priorità alla presentazione di quei programmi open source destinati ad un uso estensivo e cioè un uso giornaliero e alla portata di tutti quelli che sanno spingere il tasto ON del pc. In questo senso è abbastanza deprimente vedere in 5 minuti cosa sono firefox, thunderbird e open office tramite delle slides e degli screenshots delle versioni vecchie, la 2.0 di firefox è già fuori da una settimana, indicando i link da cui scaricarle. Per quello basta un motore di ricerca. Si doveva far capire, con dimostrazioni da proiettare, cosa sono in grado di fare questi programmi. Ultima critica, che come le altre vuole essere costruttiva in vista delle prossime edizioni, è di aver completamente dimenticato uno degli aspetti principali che riguardano l'uso del computer, quello ludico. Organizzare una partita multiplayer in Lan di CUBE o Warsow (entrambi sparatutto in prima persona open source di ottimo livello) fatti girare su linux avrebbe attirato orde di ragazzini. Ai quali, a dir la verità, di installare un server virtuale apache o un firewall non interessa molto. Nel complesso questa prima edizione è stata comunque un successo di pubblico che favorirà sicuramente nuove iniziative, sperando solo di non dover aspettare l'autunno dell'anno prossimo per vederle.
Degno di nota il fatto di aver introdotto nel discorso anche il tema della licenza Creative Commons per mezzo di un concerto del gruppo reggiano Yue Project, che realizza musica elettronica di buona fattura rilasciata appunto in CC e scaricabile liberamente dal loro sito e da Jamendo (nel caso che mi leggano chiedo perdono al gruppo precedente agli yue ma non mi ricordo il loro nome). Cliccando sul lettore qui sotto dovreste poter ascoltare i loro pezzi in streaming.

giovedì, ottobre 26, 2006

Detective Dante / Brad Barron 5-0

Dopo diciotto rutilanti numeri si è concluso Brad Barron, miniserie Bonelliana che cercava di rinverdire i fasti della science fiction anni cinquanta, quella a base di bug-eyed monsters, trifidi, creature verdi e dischi volanti. B.B. ha avuto i suoi pregi e i suoi difetti. Tra i pregi, la possibilità di decorare gli scaffali con la fascetta posteriore delle copertine, che compongo il faccione acromegalico di Brad e una buona atmosfera fifties, con spettri di guerra fredda e distruzione atomica. Tra i difetti, la monotonia, la piattezza, la prevedibilità. La bonellosità della storia, che potrebbe essere riassunta in una sola frase: non è successo niente. O meglio, il mondo è stato invaso da alieni rettiloidi e malevoli, sono morti moltissimi esseri umani e Brad Barron ha fatto un piacevole tour della costa orientale degli States, tra umani traditori, sette di hillibillies, amori sfiorati e un bel po’ di ammazzamenti di mostri. Ma in fondo la storia per diciotto mesi è scivolata inarrestabile verso l’esito annunciato: la moglie e la figlia di Brad non sono morte, il mondo è salvo. Tutto è bene quel che finisce bene. Il problema è che, come in quasi tutte le serie Bonelli, tutto sembra svolgersi in una specie di universo sospeso, un tempo zero in cui la monolitica psicologia dei personaggi è più immobile di un testuggine catatonica. Brad Barron non è diverso da Tex, decine di avventure che si ripetono secondo uno schema consolidato: nel caso di Barron lo schema era del tipo “Arrivo in una nuova cittadina/incontro con qualche nuova perfidia aliena/rischio di morte/risoluzione/partenza per un’altra cittadina”. Il livello di suspense pari a quello di una puntata dell’A-Team (senza Murdoc e Mr. T però). Gli intrecci sapientemente costruiti con la verve di uno sceneggiatore di incontri di Wrestling di secondo piano. Sempre la stessa storia. La Bonelli non vuole cambiare stile. Le poche novità (Julia, il defunto Napoleone, Dampyr, Magico Vento) sempre con la spada di Damocle della ripetitività. I personaggi non invecchiano mai, gli eventi gli passano sopra e scivolano via senza mai modificare di una virgola il loro modo di rapportarsi al mondo. Diverso il caso di Detective Dante dell’Editoriale Eura. Qui la storia è costruita come una dolorosa e lacerante ascesa al cielo attraverso le ossessioni, gli incubi e i sentimenti del protagonista.. Le regole del noir moderno, quelle di Sin City e dei film di Michael Mann, sono piegate a un’accurata caratterizzazione del personaggio. Dante è uno psicotico autentico, non caricaturale (e in questo supera perfino Sin City). Le storie sono tese, sempre sul filo del colpo di scena. Può succedere letteralmente qualsiasi cosa. Se si muore, si muore per davvero, se ci si innamora, si soffre. Nessuno è al sicuro, nemmeno i protagonisti (ed è questo lo spirito del Noir). La violenza è pura devastazione, ma non è gratuita. Le storie non si ripetono, ma tracciano delle soglie di cambiamento che Henry Dante continua ad attraversare. Nell’ultimo numero inizia la saga finale, quella del Paradiso. Ma qualcosa mi dice che il Paradiso di Detective Dante non è pieno di cherubini e il bianco delle vesti è sostituito da quello di polveri sospette. Insomma, sul mio personalissimo cartellino Detective Dante batte Brad Barron cinque a zero.

mercoledì, ottobre 25, 2006

Il mago, il dito e il piede

Iniziamo dal piede. Oggi mi sono alzato col piede sbagliato e naturalmente al lavoro è stato una schifo. Un vecchio assicuratore scemo mi ha fatto girare le balle come non mi succedeva da tempo e per concludere degnamente la giornata in ufficio mi sono rotto l'unghia del pollice destro sbattendo come un babbaleo sulla cassamatta della porta. Ho dovuto andare a nuoto incerottato, sperando di non perdere la protezione durante le bracciate. Naturalmente l'ho persa e l'unghia si è rotta ancora di più. Volevo inaugurare il nuovo blog in maniera più lieta, pazienza.
Il mago di cui voglio parlare è Alan Moore. E' un seguace della Wicca e crede di essere un mago, uno vero non un illusionista alla Copperfield, uno tipo Merlino insomma. Moore è anche un grande sceneggiatore di fumetti e in precedenza avevo già parlato del suo Watchmen. Quel fumetto mi aveva entusiasmato, la storia, i personaggi, i disegni, tutto. Purtroppo non posso dire la stessa cosa di "V for Vendetta", finito di leggere dopo mille interruzioni in questi giorni, e che devo dire la verità mi ha lasciato abbastanza perplesso. Innanzi tutto ho avuto la cattiva idea di leggere l'edizione pubblicata in allegato tempo fa con XL di Repubblica, stampata con i colori orribili della prima edizione americana, ma questo è un problema mio. Parliamoci chiaro,la storia è avvincente e scritta benissimo, quello che mi fa storcere il naso è il risvolto morale ed in particolare il protagonista V. Moore è onesto a presentare V: gli fa fare delle bastardatate di tale portata che possono spingere in egual modo un lettore ad amarlo oppure ad odiarlo. Moore però è scorretto a raffigurare le vittime di V, che vengono sempre presentate con un animo corrotto e meritevoli di punizione. Come è possibile che un fumetto così possa fare presa tra gli appassionati tanto da diventare un icona della lotta contro il potere? V for vendetta è un fumetto che va preso con le molle, possiede dei lati oscuri, delle giustificazioni che potevano essere accettate da dei ragazzotti "rivoluzionari" degli anni '80 ma da me, oggi, proprio per niente. Ma forse sono io che non ho capito, forse c'è il trucco, dopotutto l'autore è un mago.