lunedì, gennaio 29, 2007

Il Medio è il messaggio

Caro duffo, rispondo al tuo post del 17 gennaio. Il fatto è che il criterio alto/basso è privo di senso. Credo sia un retaggio della cultura di sinistra del dopoguerra. Gran parte delle cose che piacevano nel settecento o nell'ottocento erano "letteratura bassa" o "arte bassa". Mozart era un musicista pop, secondo i canoni odierni. Shakespeare era uno Spielberg elisabettiano, che faceva cose che piacevano al pubblico, non certo Beckett. Era un uomo di palcoscenico che si guadagnava il pane senza sovvenzioni e senza terze pagine dei giornali, non uno che voleva "trasmettere un messaggio" ed entrare nei salotti giusti. L’unicità del genio è la sua capacità di toccare corde universali a prescindere dal messaggio. Oggi abbiamo un sacco di comunicatori di messaggi, con l’assegno in mano, l’agendina piena di nomi che contano e una buona capacità tecnica, ma nessuno che ci sentiremmo di mettere accanto ai grandi del passato. Altro che alto e basso, siamo nell’età di mezzo, nel regno della mediocrità generalizzata. Infatti chi stabilisce il bene e il male? Chi scrive sui giornali, nel regno del compromesso, delle amicizie e della scrittura “media”. Anche nel senso dei mass media: come diceva McLuhan, il medium è il messaggio. Potremmo dire che il medio (-cre) è il messaggio. Tra l'altro è proprio l'idea di comunicare un messaggio che ti frega: che messaggio devo comunicare per fare arte “alta”? Se comunichi il messaggio pace e giustizia sociale va bene, ma se comunichi il messaggio “godiamoci la vita”, non va più bene. Ecco allora che ci troviamo con l’ennesimo polpettone storico politico di Ken Loach che è “solo” messaggio ma si dimentica del cinema e magari abbiamo film “leggeri” ma piacevoli che vengono snobbati perché non sono cinema serio. Non esiste comunicazione senza un significato, sono le nostre interpretazioni che stabiliscono dei criteri di valore. Dickens era più simile a Stephen King o ad Ammaniti che a uno scrittore "alto". Uno potrebbe dire: certo, ma Dickens era diverso dagli altri scrittori popolari dell'ottocento. È vero, ma solo secondo i nostri criteri. Al tempo, forse, quello che leggeva Dickens o Balzac in dispense leggeva anche la bibliotheque blue o altre cose che adesso faremmo rientrare nel calderone del "popolare" o addirittura del "pulp". Questo criterio però ha il fiato corto. Hai visto infatti quello che succede. Dopo che per decenni l’intellettuale ha indossato il saio dell’impegno e dell’egemonia gramsciana, ora può finalmente dire che La corazzata Potemkin è una cagata pazzesca o che Proust è noioso o che Arbasino è un paraculo. E può confessare che in realtà, tra una serata d’impegno e l’altra si è visto i film di Boldi e De Sica. Il problema, però, è che non si tirano le somme di questo discorso. Non posso accettare che un cretino che negli anni settanta leggeva solo Marx e guardava Wim Wenders ora ci dica quello che è bello e quello che è brutto. Non basta rovesciare alto e basso, occorre togliere di torno certi personaggi che vanno dove li porta il vento e ogni volta si rifanno una verginità. A tutti loro, il (dito) medio è il messaggio. Cioè un bel vaffanculo.

3 commenti:

Anonimo ha detto...

Come al solito condivido appieno il tuo post e se posso vorrei aggiungere una considerazione pessimistica. Da tutto il nostro discorso l'unica conseguenza sicure che si può ricavare è che non cambierà mai niente a causa dell'ignoranza. Non sto parlando di ignoranza nel senso di "ignorare qualcosa" ma proprio nel senso di non sapere un cazzo di niente. A partire dalla storia romana e all'arte rinascimentale fino ad arrivare alla musica pop e alla televisione, la gente non conosce più niente in maniera almeno soddisfacente. Il peccato orginale dell'italiano è, da sempre, non sapere un cazzo del mondo che lo circonda. Detto questo è evidente che il 90% della popolazione sia, allo stesso tempo, causa e vittima di una situazione culturale aberrante, fatta di manzanza totale di iniziative culturali originali, di leccaculismi, di corruzione, di nepotismi di ogni tipo, con predilizione per il sesso spinto.
In un contesto del genere non so quanto senso abbia ancora discutere sulla natura di/delle cultura/e, quando c'è da chiedersi se si può ancora parlare della presenza di cultura in Italia, tra critici alla Mollica e agitatori di popolo alla Grillo. Probabilmente bisogna farlo per quel 10% in cui io, senza problemi, mi inserisco.

oscilloscopio azzurro ha detto...

Parole sante. Puro vangelo, direbbe Kit Carson. Sono aberrazioni antropologiche come il Mollica a contribuire a tenere in vinta il morto vivente del culturame italiano. Penso che alla base di tutto ci sia il rapporto perverso tra prodotto culturale e pubblico, che in Italia è stato influenzato dal "sinsitrismo". In poche parole, non si fa cultura per la gente, si educa la gente per la cultura. Questo fa sì che l'establishment culturale sia sempre in ritardo rispetto alla realtà. In altri paesi, ad esempio, hanno critici intelligenti (penso alla Francia) o si fanno guidare dal mercato, per cui anche le cose di nicchia, se raggiungono un minimo di massa critica, vengono accolte con attenzione.

Anonimo ha detto...

Certo la critica ha le sue colpe, ma se diamo la colpa solo ai critici non riusciremo lo stesso a capire il problema italiano. Se una professoressa ex sessantottina da da leggere obbligatoriamente ai suoi alunni il libro scritto da suo nipote "La rivoluzione sociale in Pinocchio. Da Marx a Collodi", non mi meraviglio che il 90% degli alunni o non lo legge o lo legge e non capisce un cazzo perchè non ha letto mai Pinocchio. Ecco io vorrei che ci fosse un 10% che prima si legge Pinocchio e poi dice alla maestra "Ho letto le prime 20 pagine del libro di suo nipote e sono tutte stronzate percui l'ho buttato nel riciclo della carta".