Un cane giallo nella nebbia 1
In risposta ad un commento di Zer0percento al post precedente, ho scritto che tendiamo a rifugiarci nei mondi fantastici creati dalla letteratura, dai fumetti e dal cinema in quanto schifati da un presente in cui facciamo fatica a riconoscerci e che peggiora sempre più. Questa considerazione non è nuova, anzi è quasi banale ed spesso usata dai detrattori del genere fantastico, ma devo ammettere che mi è uscita da sola pigiando i tasti. Più per pigrizia, ma anche perchè secondo me ha qualche attinenza con questo discorso, posto in due rate una mia vecchia recensione ad un libro di Simenon "Il cane giallo", che ha per protagonista il celebre ispettore Maigret.
“Fatto sta che io non deduco mai...”.
Come tutti i parrucconi universitari ed i ribelli underground che prima di me hanno parlato di Maigret, ed in particolare di questo romanzo, non potevo esimermi dal citare questo passaggio, ed ora che l’obolo alla tradizione è stato versato veniamo al libro. Il romanzo “Il cane giallo” è il sesto del primo ciclo del celebre ispettore della Sûréte ed è stato scritto da Simenon nel 1931, mentre si trovava in viaggio con la sua barca tra i porti di Normandia, Belgio e Olanda. Il libro è bello, veloce e merita una lettura. L’atmosfera è, come al solito per Simenon, la vera protagonista della narrazione: vi potrebbe capitare di aprire uno dei romanzi del primo Maigret e di venire sommersi da un banco di nebbia che si sprigiona dalle pagine e sentire in lontananza il fischio di una vecchia chiatta che entra nel porto con un carico di pietre danesi. Il vero "Porto delle nebbie", secondo me il miglior Maigret.
In questi luoghi, al confine tra un universo onirico ed il negozio del pescivendolo, avvengono i delitti di cui si occupa il commissario. Questi delitti non sono mai così violenti, almeno per quanto riguarda le prime inchieste, da poter essere definiti cruenti, tutt’al più si tratta di storie torbide, come l’acqua dei fiumi che sfociano nel Mare del Nord. D’altronde, come diceva Giorgio Bassani, “è dove il sole batte più forte che l’ombra è più nera” (oggi sono in vena di citazioni) ed è quindi più facile imbattersi in efferatezze di ogni tipo quando si bazzica nei salotti delle persone perbene. Solitamente nei romanzi di Maigret l’omicidio è l’estrema conseguenza di una catena di eventi messa in moto da piccoli imbroglioni, prostitute e disperati in genere che sguazzano nel torbido per sopravvivere. Personaggi per cui Maigret spesso prova compassione, più ancora che per le vittime, e che cerca, nei limiti del loro coinvolgimento nell’omicidio, di riportare sulla retta via. Quelli che Maigret veramente non sopporta sono i ricchi borghesi e la nobiltà in generale, bigotta e socialmente razzista. Pronta a scannare per ogni bieco motivo e senza provare il minimo rimorso. In Maigret dunque è l’ambiente sociale e l’atmosfera che ne deriva che creano il delitto, i colpevoli ed in un certo senso anche l’investigatore.
Per spiegare questo concetto bisogna collocare Maigret nella cronologia della letteratura gialla o più propriamente di indagine.
(Continua)
4 commenti:
Credo che tu abbia ragione lodando la letteratura che ti fa evadere verso altri spazi mentali. Purtroppo, però, da fan del buon Maigret non riesco a non visualizzarlo sotto forma di Gino Cervi, in versione emiliana. Quindi il viaggio mentale non mi porta a sorseggiare un grog in bretagna, a ingollare un pernod in un bistrot di parigi o a ingollare un vinello di campagna in mezzo alle chiuse, ma a tracannare litrate di lambrusco in una bettola di modena.
E' più rustico, ha l'aroma di parmigiano invece che di Camember, si beve lambrusco invece che Boujoulet eppure è sempre un viaggio in un altro mondo. Poi ognuno si sceglie chi più piace, Gino Cervi o Jean Gabin. Poi ci sono pure i masochisti che mangiano escrementi che si guardano Maigret-Castellitto.
Parlando di letteratura d'evasione, implicitamente si indica che c'è qualcosa da cui evadere. Senza tornare sul discorso "realtà in caduta libera", ognuno di noi ha i suoi inferni in testa e siccome i pensieri prendono vita sotto forma di parole, più che di immagini e suoni, quando leggiamo un libro non facciamo altro che caricare nei nostri pensieri un contenuto nuovo e totalmente differente.
In tal senso, anche il bollettino della società geologica italiana (non me ne vogliano i geologi) può risultare letteratura d'evasione.
Con ciò voglio dire che non ho mai sofferto lo snobbismo delle critiche rivolte ai generi più fantastici della letteratura, che magari risultani meno impegnati ma non per questo meno degni. E poi ci sono illustri predecessori, in tal senso. Un nome su tutti: Verne.
Ecco, ho detto.
Verne è uno dei miei autori preferiti. Più che di letteratura d'evasione parlerei proprio di letteratura del fantastico. Inteso come un mondo a parte, lontano, senza troppi richiami alla vita di tutti i giorni.
In questo senso il discorso, che spero emerga meglio dalla seconda parte, è che ci sono universi letterari in cui i riferimenti alla vita reale, Harry Potter in primis, devono necessariamente essere assenti altrimenti l'aspetto magico e fiabesco ne verrebbe, uso una parola brutta, contaminato. Lo stesso Maigret è frutto di un'atmosfera ben precisa ed è giusto che chi apprezza le indagini dell'ispettore venga totamlmente avvolto da questa atmosfera.
Peraltro, girando la frittata verso i dretattori del genere, dico che il fantastico ha un'ottimo effetto rilassante, soprattutto in un epoca in cui il bombardamento di informazioni ti sbatte in faccia i lati brutti della realtà costantemente. Ogni volta che vedo Report a me viene il bruciore di stomaco.
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